Los Angeles-Milano con scalo a Bergamo: Una questione di acqua | Water Works: From Los Angeles to Milan, through Bergamo
- Francesco Chianese
- Sep 26
- 20 min read
Updated: Oct 9
[versione in italiano; English version below] Settembre è un mese che scorre veloce, trascinato dal riattivarsi improvviso degli eventi che scandiscono la nostra quotidianità. Come un corso d’acqua, pian piano si ingrossa, diventando un fiume di cui seguiamo il corso incamminandoci verso l’autunno. È appena un mese che sono rientrato da Berlino e le camminate lungo il Landwehrkanal e la Spree mi sono rimaste dentro: i giorni però intanto sono diventati sempre più velocemente settimane, e come tutti, anche io mi sono progressivamente reinserito nella mia routine triestina, segnata da giornate poco degne di nota, regolari fughe in Slovenia nel fine settimana ed episodiche trasferte per partecipare a eventi culturali o accademici, quando capita. Una di queste trasferte mi ha portato alcuni giorni fa – in realtà, sono già passate quasi due settimane – a Bergamo: dall’11 al 13 ho partecipato alla Conferenza Biennale dell’Associazione Italiana di Studi-Nord Americani, un appuntamento che ho mancato solo una volta a partire dalla prima edizione che ho seguito nel 2013, proprio qui a Trieste, negli anni del dottorato di ricerca. L’ho mancato perché ero in California, ed è da quando sono tornato che a ogni edizione parlo di Los Angeles. Tra qualche mese, 11 e 12 dicembre sarò a Venezia, a Ca’ Foscari, per il convegno John Fante: Thirty Years After, organizzato da Elisa Bordin ed Enrico Mariani, che ho rivisto proprio a Bergamo, un appuntamento che si annuncia straordinario già solo a vederne il programma. Questi due appuntamenti sono collegati dai nomi di John Fante e di Chiara Barzini, a cui ho dedicato la mia presentazione a Bergamo e che riprenderò a Venezia, due autori che faranno parte del prossimo aggiornamento di Voices of a Multiple Italy | Voci di una Molteplice Italia, l’antologia digitale che ospita questo blog. Fante e Barzini sono accomunati dalla venerazione per la città di Los Angeles che condivido con loro, una città di cui abbiamo esperito tutti e tre il fascino e il disincanto, partendo dal mito che ci è stato trasmesso a livello immaginario che ha poi lasciato posto a un legame con la città vera che vi si nasconde dietro, in particolare una passione per la sua natura molteplice, multietnica, multiculturale. Nel mentre, a riportarmi alla realtà è stato il ritorno a scuola, che vale la pena ricordare, è una delle fonti di ispirazione principali dei miei progetti di ricerca: l’incontro con la classe multiculturale, in Italia come negli Stati Uniti e in Inghilterra, è per me un momento cruciale di riscontro tra le idee e la loro concretizzazione, come nel momento in cui Los Angeles passa dalla pellicola alla realtà. Si impara più facilmente insegnando, nelle mattinate trascorse a dialogare con giovani individui da cui mi separa il numero esatto di anni che intercorre tra due generazioni per cercare di sensibilizzarli all’inclusività, al rispetto reciproco, allo scambio interculturale, per poi rifugiarmi nei pomeriggi operosi in biblioteca a trascrivere le centinaia di idee scaturite da questo scambio proficuo, riportando all’ambito della rappresentazione culturale ciò che vedo nella realtà tangibile delle nostre società.
In generale, è un periodo di rinnovati entusiasmi. Rivedere a Bergamo colleghi che non frequento più regolarmente e discutere con loro di idee e progetti mi ha riacceso la voglia di dedicarmi alla ricerca. In occasione di questa conferenza dedicata alle rappresentazioni del West americano ho partecipato a una sessione intitolata Beyond Lamerica. Italian/Americans settling in California and the West: il contesto mi è sembrato la dimensione ideale dove riprendere il mio discorso su Fante e Barzini a partire dalla mia più recente pubblicazione accademica su rivista e dal nuovo volume di Barzini, intitolato L’ultima Acqua: Il sogno perduto di Los Angeles e uscito, come chi legge saprà, lo scorso aprile. Le organizzatrici della sessione, Carla Francellini ed Elisabetta Marino, sono nomi noti nell’ambito degli studi italoamericani, tra gli argomenti a cui si sono dedicate c’è la figura di Mary Maziotti Gillan che è presente anche in Voices of a Multiple Italy | Voci di una Molteplice Italia, nella traduzione di Cristina di Maio – che pure ho rivisto a Bergamo, seppure di sfuggita – ed Evelyn Ferraro, che invece è rimasta a rimpolpare il fronte della California italiana, a Santa Clara. Ho lasciato Bergamo con un grande rammarico, in realtà, ossia proprio quello di aver potuto dedicare niente più che una menzione veloce al nuovo lavoro di Barzini, affascinante saggio-memoir che ripercorre l’esperienza in California dell’autrice ripercorrendo le origini dell’acquedotto di Los Angeles e del suo ideatore, William Mulholland, dalla gloria al più grande fallimento (ne abbiamo già parlato qui, prima dell’estate). In questo testo Barzini cita Fante e la sua rappresentazione della città, rendendo esplicito un riferimento che mi è apparso subito evidente, costituendosi come un’eredità da raccogliere nel momento in cui ci apprestiamo a descrivere la città dalla prospettiva del visitatore italiano, o della visitatrice italiana, com’è più proprio in questo caso:
John Fante lo descriveva così bene, questo stato d’animo: “Ah, Los Angeles! Strade solitarie velate dalla nebbia e dalla polvere, io non sono più solo. E voi fantasmi che popolate questa stanza, un po’ di pazienza e vi farò vedere… Perché capiterà, sicuro come c’è un Dio nel cielo” (Barzini 2025; 61; la citazione è da Fante, Chiedi alla polvere, traduzione di M. G. Castagnone, 2004).
Il dibattito, molto animato, sorto nella sessione ha rinsaldato i presupposti per un’analisi comparata dei due autori. Insieme a Fante, Barzini cita una miriade di personalità legate alla California italiana: dallo scrittore Gay Telese a Tao Ruspoli, eccentrico fondatore della comunità di Bombay City e della sua affascinante Biennale, nata con fini opposti a quelli della Biennale di Venezia, che ha ispirato posti quali Venice Beach e Naples, oltre che i casinò di Las Vegas: “Invece di gondole e canali romantici, avevamo vuoto e aridità” (Barzini, 80). Barzini ripercorre la descrizione di Los Angeles seguendo tracce analoghe a quelle che ho seguito io nei miei viaggi in macchina solitari, soffermandosi sulle modalità con cui gli investitori hanno spesso promosso la California come una possibile alternativa all’Italia – un’”Italia Americana”, com’era stata descritta anche dalla Camera di Commercio di Los Angeles nei decenni della sua epoca più gloriosa, in cui il lago oggi tossico di Salton Sea è celebrato come “una costiera amalfitana nel deserto” (75) in cui potersi disintossicare dai ritmi vertiginosi della città degli angeli. La visione dell’autrice diventa sempre più catastrofica, contrapponendo le rovine del sogno californiano a quelle della città di cui è originaria e in cui oggi risiede, Roma: “Siamo cresciuti entrambi in Italia, allevati sulle rovine di un impero decaduto e portati in California dalle nostre famiglie all’apice del boom economico di un impero ancora solito” (61). La ricerca di personalità italiane rivela anche sorprese, come l’incontro con Robert Towne, lo sceneggiatore del classico film Chinatown diretto da Roman Polanski nel 1974, uno degli intertesti principali del libro, che mette Chiara in contatto con la moglie italiana dello sceneggiatore, Luisa, e sua figlia che si chiama Chiara, come l’autrice.
Non ho mai avuto il piacere di incontrare Barzini di persona, né di interagirci digitalmente, ma è rapidamente diventata la mia guida a Los Angeles, quando mi sono trasferito lì nel 2018, e mi sento visceralmente legato a lei e alla sua visione della città, oltre che a Fante. Ho adorato Terremoto, che ha coinciso con l’inizio della mia avventura californiana, essendo uscito nel 2017, pochi mesi prima che mi imbarcassi per il mio anno da Fulbright Scholar-in-Residence a California State University, Long Beach. Il viaggio che descrive in Aqua, otto anni dopo, si svolge nel periodo in cui vi ero tornato con la mia nuova borsa di studio postdoc europea dedicata alla straordinaria Marie Slodowka-Curie, un titolo di cui mi sento onoratissimo; dunque, Chiara e io siamo tornati a Los Angeles nello stesso periodo. Se il primo libro mi aveva trascinato nei suoi entusiasmi di adolescente, del nuovo libro ho condiviso la disillusione, confrontandomi con quella California uscita stravolta dalla pandemia, ancora prima che vi si abbattessero le più recenti catastrofi naturali. Nelle descrizioni di Chiara, ho visto la fine del sogno californiano nelle stesse modalità in cui l’ho percepito io, e leggere i suoi racconti mi ha emozionato come se rivivessi i momenti in cui ho visitato io stesso Salton Sea, Bombay Beach, Slab City ed East Jesus, proseguendo in un folle road trip delilliano in cui ho seguito, invece dell’acquedotto, la via del deserto, partendo da San Diego e proseguendo verso l’Arizona, fermandomi lungo la strada a Calexico, tagliata a metà dal muro che segna il confine col Messico e la contrappone alla gemella, che dicono tutti sia molto più bella – due anagrammi precisi: California+Mexico, Mexico+California –, ma richiede un passaggio di frontiera che non sempre riesce pacificamente all’inverso; a Yuma, cittadina subito dopo il confine descritta da Cesare Pavese nel suo classico La luna e i falò; a Tucson, luogo che avrebbe dovuto ospitare la mia prima conferenza cancellata dal Covid, e che simbolicamente ci tenevo a rivedere; a Phoenix, curiosa città che sembra edificata con la sabbia stessa del deserto, dove a capodanno il sole raggiunge temperature da ferragosto; infine, visitando il Gran Canyon, dove invece la temperatura crolla e tutto intorno è coperto di ghiaccio, risalendo verso nord il giallo del deserto si veste di neve bianchissima. Quindi, ho ripercorso il deserto del Mojave in direzione di Long Beach, attraversando l’ipnotico Joshua Tree Park. In quel viaggio e in quello che gli ha fatto seguito in estate ho perso il conto delle miglia percorse, guidando per più ore, credo, che negli ultimi dieci anni messi insieme, considerato che guido raramente: come mostra il nuovo film di Paul Thomas Anderson che ho visto proprio ieri sera, One Battle after Another, il piacere di guidare è una cosa così intrinseca all’avventura americana che si fa presto a perdere il senso del tempo insieme alla prospettiva. A tratti, sento i racconti e le riflessioni di Barzini sovrapporsi ai miei al punto da fare fatica a distinguerli dai miei stessi pensieri.
L’acqua è diventata il tema centrale di questo inizio di stagione: i nubifragi che si abbattono regolarmente a Triste sono simili a quelli che mi hanno accolto a Berlino a fine luglio, e a quelli che hanno scandito le mie giornate a Kuala Lumpur, simili anche agli spaventosi acquazzoni che si rovesciano tra gennaio e febbraio a Los Angeles, di cui Charles Bukowski ha scritto in Post Office per sottolinearne l’eccezionalità. Mentre penso a Los Angeles, la mente torna rapida a Berlino, dove ho letto e riletto Barzini e ho ripreso a rielaborare questo discorso sulla California italiana, nella sala della biblioteca del John F. Kennedy Institute frequentato soprattutto nei miei anni più intensi da americanista. Un modo come un altro per ribadire che, seppure sia passato un mese, con la mente sono rimasto ancora abbastanza fermo a Berlino: Berlino e Los Angeles, due città che ho sempre ritenuto prossime per una serie di elementi che vanno dall’apertura mentale all’ideologia liberale degli abitanti, che si affianca all’operosità tedesca e americana, ma anche per la definizione ampia degli spazi. Un amico conosciuto in America che si occupa di germanistica un giorno mi ha suggerito il bel Die Stadt der Engels di Christa Wolf, che mi ha aiutato a tener insieme le due città nonostante le loro divergenze: la più americana metropoli d’Europa da una parte e la meno americana metropoli degli Stati Uniti dall’altra, fianco a fianco. Ma la vicinanza di Bergamo mi ha riportato anche a Milano, altra città che è rimasta molto presente nel mio immaginario prodotto delle mie molteplici esperienze diasporiche, così italiana e così ai margini dell’Italia da avermi fatto spesso pensare a Berlino e a Los Angeles, identificandone differenze e similarità.
Dall’acqua al fuoco, L’ultima acqua si apre con un’introduzione dedicata agli incendi di Los Angeles, a cui abbiamo assistito in mondovisione a inizio anno. Il 2025 si aperto con immagini di fuoco e devastazione: quello degli incendi che bruciavano Pacific Palisades, la collina che si affaccia su Malibu, ed Eaton, deflagrato sulle montagne di San Gabriel. Si tratta di eventi naturali che rapidamente hanno acquisito dimensioni straordinarie: i famosi venti di Santa Ana che secondo Joan Didion regolano gli sbalzi nel temperamento dei californiani sono gli stessi che rendono la loro terra imprevedibile. Nel mio breve periodo da Angeleno ho avuto prova anche io della natura rissosa della terra su cui poggia Los Angeles, assistendo in poco meno di un anno a incendi, alluvioni, maremoti e perfino un piccolo terremoto. Dai disastri naturali alla distruzione di Gaza il passo è enorme, eppure minimo: anche nelle suggestioni di Barzini i focolai di questo scenario di distruzione si affianca a quello della città degli angeli che brucia. L’acqua è il tema che ha alimentato per decenni il conflitto tra Israele e Palestina, come le speculazioni economiche e politiche che regolano la vita a Los Angeles: la questione del controllo delle zone ricche di acqua potabile oggi sembra passata in secondo piano, di fronte alla sciagurata occasione di poter trasformare la striscia di Gaza in una successione di stabilimenti balneari per ricchi, come annuncia il governo israeliano, secondo dinamiche analoghe a quelle che hanno trasformato la zona del Salton Sea in un deserto tossico. Ma c’è anche l’acqua dei porti dove sono ormeggiate le navi della Global Sumud Flotilla, che porterà aiuti umanitari alla città sotto assedio ed è composta da molte imbarcazioni che battono bandiera italiana partite da porti italiani. Vi partecipano attivisti ma anche scrittori e artisti che sono diventati simbolo della resistenza civile al conflitto che ha ispirato lo sciopero generale che ha bloccato scuole, uffici, esercizi, mezzi pubblici, stazioni e, appunto, porti, nelle maggiori città italiane. Negli anni Trenta del Novecento, gli intellettuali parteciparono alla Guerra di Spagna che ha anticipato la Seconda Guerra Mondiale. In questo periodo in cui il discorso sulla guerra e la corsa alle armi ha raggiunto un’intensità pari a quella del periodo che ha preparato il secondo conflitto mondiale, la nostra testimonianza è importantissima e occorre portarla ovunque possiamo, nei luoghi pubblici e tra i banchi di scuola, negli spazi telematici che abbiamo a disposizione e in quelli fisici, spiegando l’importanza di avere una definizione chiara di che cosa sia guerra, massacro, genocidio. Abbiamo ragione di credere che quello che è successo in questi ultimi due anni, a partire dal 7 ottobre 2023 – ma facciamo anche quattro, a partire dallo scoppio della guerra in Ucraina, perché seppure i due conflitti siano separati alimentano lo stesso clima di guerra globale e continua - abbia cambiato per sempre il discorso con cui definiamo i conflitti e le interazioni tra i popoli. Abbiamo bisogno di crederlo. E abbiamo urgenza di trovare nuove parole per descrivere un orrore vecchio, che si ripropone regolarmente. Ma abbiamo soprattutto bisogno di ritrovare la nostra umanità e tornare a confrontarci con le persone, oltre che di alimentare la nostra speranza, e proprio a questo proposito, Barzini scrive, nelle ultime pagine del libro:
Le domande a cui cercavo di rispondere erano: possiamo ancora permetterci di sognare in un mondo che sta cadendo a pezzi? (271)
L’acqua, infine, che troneggia nel titolo della copertina di Barzini dà il titolo al romanzo di Nadeesha Uyangoda Acqua sporca, uscito da poche settimane, che ho preso durante un giro per librerie indipendenti di Milano. Proprio da Verso, la mia preferita della città, Nadeesha ha presentato qualche giorno fa il suo libro insieme a Vincenzo Latronico. Ho seguito l’autrice con grande attenzione fin dal suo esordio saggistico e il suo passaggio alla narrativa non mi ha sorpreso: avevo intuito il suo talento per la scrittura creativa già dal racconto breve che poi le ho chiesto di pubblicare e tradurre qui, Cittadinanza, e devo dire che le prime pagine del nuovo libro che ho letto non mi hanno per niente deluso: da Los Angeles a Milano, dalla Brianza allo Sri Lanka, il passaggio, almeno a livello immaginario, sembra brevissimo, come quello che ci porta dalla storia dell’emigrazione italiana a quella dell’immigrazione in Italia. Torneremo a parlane in queste pagine tra qualche giorno, a libro finito, continuando a esplorare le corrispondenze tematiche che tengono insieme il discorso sulle diaspore che ruota intorno alla nostra penisola.

[English version] September flies by, swept along by the sudden return of the events that mark our daily lives. Like a stream that slowly swells into a river, September carries us toward autumn. Only a month has passed since I came back from Berlin, and I still think about the walks along the Landwehrkanal and the Spree. But the days have quickly turned into weeks, and like everyone, I gradually reintegrated into my routine in Trieste, marked by uneventful days, regular weekend trips to Slovenia, and occasional cultural or academic events, when they happen. A few days ago—actually, it is already about two weeks—one of these trips took me to Bergamo. From the 11th to the 13th, I attended the Biennial Conference of the Italian Association of North-American Studies. I have only missed one edition of this event, since I first attended the edition held in Trieste in 2013, during my Ph.D. years: I missed that edition because I was in California, and I have talked about Los Angeles at any following edition, since I returned. In a few months, on December 11 and 12, I will be in Venice, at Ca' Foscari, for the conference John Fante: Thirty Years After, organized by Elisa Bordin and Enrico Mariani, who I met again in Bergamo. The program promises an extraordinary event. Those two events are linked for me by John Fante and Chiara Barzini: I devoted to their writing my paper in Bergamo and will discuss them again in Venice. They will also be included in the next update of Voices of a Multiple Italy | Voci di una Molteplice Italia, the digital anthology that hosts this blog. They share a common veneration for Los Angeles, which I experienced too. We all have witnessed its charm and disenchantment, we all evolved the myth we received on an imaginary level to a more concrete view of the real city behind it, we are particularly passioned for its multifaceted, multicultural, and multiethnic nature. Meanwhile, returning to school brought me back to reality. It is worth remembering that school is one of the main sources of inspiration for my research projects. Encountering the multicultural class in Italy, as well as in the United States and Great Britain, is the moment when my ideas match their realization, just as when Los Angeles goes from film to reality. I learn more effectively by teaching. I spend my mornings talking to young people separated from me by the exact number of years between two generations. I try to raise their awareness of inclusiveness, mutual respect, and intercultural exchange. Afterwards, I spend my busy afternoons in the library, where I transcribe the hundreds of ideas that have emerged from this fruitful exchange. I bring back to the realm of cultural representation what I see in the tangible reality of our societies.
Overall, it is a period of renewed enthusiasm. In Bergamo, meeting colleagues whom I no longer see regularly and discussing ideas and projects with them has rekindled my desire to devote myself to research. The conference was themed to representations of the American West, and I participated in a session entitled Beyond Lamerica. Italian/Americans settling in California and the West. It seemed to me the ideal setting in which to resume my discussion of Fante and Barzini, starting from my most recent academic journal publication and Barzini's freshly published new book, L'ultima Acqua: Il Sogno Perduto di Los Angeles (it will be out in the fall in English, under the title: Aqua: The Lost Dream of Los Angeles). The organizers of the session, Carla Francellini and Elisabetta Marino, are well-known figures in the field of Italian American Studies, and both have contributed furthering the figure of Mary Maziotti Gillan, among many other topics. Maziotti is featured in Voices of a Multiple Italy | Voci di una Molteplice Italia, translated by Cristina Di Maio, whom I also briefly met in Bergamo, and Evelyn Ferraro, who fleshes out the Italian California in Santa Clara. I departed Bergamo with regret, because I was able to dedicate only a brief mention to Barzini's new work. It is a captivating essay-memoir that chronicles the author's journey in California along with the description the origins of the Los Angeles aqueduct and its architect, William Mulholland (as mentioned in the last post before summer): Mulholland's experience is shown from triumph to greatest failure. Here, Barzini references Fante's portrayal of the city, making explicit a reference that immediately struck me as obvious. This legacy can be drawn upon as we describe the city from the perspective of Italian visitors:
John Fante described this state of mind so well: "Ah, Los Angeles! Lonely streets veiled in fog and dust. I am no longer alone. And you ghosts who populate this room, a little patience, and I'll show you... It will happen, as sure as there is a God in heaven" (Barzini 2025, 61, quoting Fante 1938; all translations from Barzini in this post are mine).
The lively debate that arose during the session reinforced my perspective for a comparative analysis of the two authors. Along with Fante, Barzini mentions many personalities associated with Italian California, including the writer Gay Talese and Tao Ruspoli, the eccentric founder of the Bombay City community and its intriguing Biennale. Ruspoli created the Biennale with opposite aims to those inspiring the Biennale in Venezia, which inspired places such as Venice Beach and Naples, as well as the casinos of Las Vegas: "Instead of gondolas and romantic canals, we had emptiness and aridity" (Barzini 2025, 80). Barzini retraces her description of Los Angeles, following a similar path to those I took during my solitary car journeys. She dwells on how investors have often promoted California as an alternative to Italy — an "American Italy," as described by the Los Angeles Chamber of Commerce. In its heyday, the now toxic Salton Sea was celebrated as "an Amalfi Coast in the desert," where one could detox from the dizzying pace of Los Angeles (75). Barzini's vision becomes increasingly catastrophic as she contrasts the ruins of the Californian dream with those of her hometown and current residence, Rome: “We both grew up in Italy, raised on the ruins of a fallen empire, and brought to California by our families at the height of an empire's economic boom still in its prime” (61). The search for Italian personalities also yields surprises. The search for Italian personalities also yields surprises. For example, Chiara meets Robert Towne, screenwriter of the classic 1974 Roman Polanski film Chinatown, one of the book's main intertexts. Towne introduces Chiara to his Italian wife, Luisa, and his daughter Chiara.
Although I never met Barzini in person or interacted with her online, she quickly became my guide to Los Angeles when I moved there in 2018. I feel an equal, visceral connection to her and her vision of the city, as to Fante. I loved her debut novel Things that Happened before the Earthquake, whose publication coincided with the beginning of my Californian adventure. It was released in 2017, a few months before I began my year as a Fulbright Scholar-in-Residence at California State University, Long Beach. The journey she describes in Aqua, eight years later, takes place during the period when I returned to Los Angeles with an European postdoctoral fellowship dedicated to the extraordinary Marie Sklodowska-Curie - I feel so honored to have received the fellowship in her name. Hence, Chiara and I were in Los Angeles at the same time. While the first book drew me into her teenage enthusiasm, I shared the disillusionment of the latest book, which confronts a California devastated by the pandemic and recent natural disasters. Through Chiara's eyes, I witnessed the demise of the Californian dream, and her stories evoked the same emotions I felt when visiting Salton Sea, Bombay Beach, Slab City, and East Jesus. I continued on a Delillo-esque road trip, taking the desert route from San Diego to Arizona. Along the way, I stopped in Calexico, a town divided by the border wall that separates it from its twin city Mexicali, in Mexico, which everyone says is much more beautiful, but requires a border crossing that is not always to be taken for granted, in the opposite direction – two precise anagrams: California+Mexico, Mexico+California; Yuma, just across the border, as described by Cesare Pavese in his masterwork The Moon and the Bonfires; Tucson, which I want to visit symbolically, because it was supposed to host my first conference that was canceled due to the pandemic; Phoenix, a peculiar city that seems to have been built with desert sand, where on New Year's Eve the sun reaches mid-August temperatures; and finally, the Grand Canyon, where the temperature drops and everything is covered with ice, heading north, and the yellow of the desert is dressed in pure white snow. I retraced my steps through the Mojave Desert towards Long Beach, passing through the hypnotic Joshua Tree Park. During that trip and the one that followed in the summer, I lost count of the miles I traveled. I think I drove more hours than I have in the last ten years combined, considering that I rarely drive. But California is a different story: as you can see in the new movie by P. T. Anderson, A Battle after Another, which I watched just last night, the pleasure of driving is so intrinsic to the American adventure that it is easy to lose track of time, as well as my perspective. At times, I felt that Barzini's stories and reflections overlapped with my own, to the point that I struggled to distinguish them from my own thoughts.
Water has become the central theme of this early season. The storms that regularly hit Trieste look like those that welcomed me to Berlin at the end of July, those that punctuated my days in Kuala Lumpur. They remind me of the frightening downpours that fall between January and February in Los Angeles. Charles Bukowski wrote about these sudden storms in Post Office, to emphasize their exceptional nature. As I think about Los Angeles, I quickly return to Berlin. There, at the John F. Kennedy Institute library, I read and reread Barzini. It was there that I began reworking this discourse on Italian California. I spent days and nights at a table of this library, during my most intense years as an American studies scholar. This reiterates that even though a month has passed, my mind remains fixed on Berlin: Furthermore, Berlin and Los Angeles are two cities I've always considered similar due to many common elements, ranging from the people's open-mindedness and liberal ideology, and their industriousness, to the broad definition of spaces. A friend met in Los Angeles, who works in German studies, suggested me to read the beautiful Die Stadt der Engel by Christa Wolf, who also explored the possibilities to match those cities together despite their differences: Berlin is perhaps the most American metropolis in Europe, and Los Angeles is the least American metropolis in the United States. The proximity of Bergamo to Milan instead brings me back to another city that remains very present in my imagination, a product of my many diasporic experiences: such an Italian city, yet on the margins of Italy, that often reminds me of Berlin and Los Angeles.
From water to fire, Aqua opens with an introduction dedicated to the fires in Los Angeles, which we watched on live television at the beginning of the year. The year 2025 began with images of fire and devastation: the fires that burned Pacific Palisades, the hill overlooking Malibu, and Eaton, which exploded in the San Gabriel Mountains. These natural events quickly took on extraordinary proportions. The famous Santa Ana winds, which Joan Didion said regulated the mood swings of Californians, are the same ones that make the land unpredictable. During my brief time as an Angeleno, I experienced the quarrelsome nature of the land on which Los Angeles stands firsthand, witnessing fires, floods, tidal waves, and even a small earthquake in less than a year. The leap from natural disasters to the destruction of Gaza is enormous yet minimal. Even in Barzini's suggestions, the hotbeds of this scenario of destruction are juxtaposed with the burning City of Angels. Water is the issue that has fueled the decades-long conflict between Israel and Palestine, as have the economic and political speculations that regulate life in Los Angeles. The issue of control over areas rich in drinking water seems to have taken a backseat to the opportunity to transform the Gaza Strip into beach resorts for the wealthy, as announced by the Israeli government. This transformation would occur through dynamics like those that turned the Salton Sea area into a toxic desert. Water also brings us to the ports where the ships of the Global Sumud Flotilla are moored. These ships will deliver humanitarian aid to the besieged city of Gaza: half of them left from Italian harbors, flying Italian flags. Writers such as Naoise Dolan, among the diverse activists hosted on board, have become symbols of civil resistance to the conflict and inspired the massive strike that has blocked schools, offices, businesses, public transportation, stations, and ports in major Italian cities last Monday. In the 1930s, intellectuals participated in the Spanish Civil War in preparation for World War II. At a time when discourse on war and the arms race has reached an intensity equal to that of the period leading up to World War II, it is crucial that we share our perspective in public places, schools, and digital spaces. We must explain the importance of clearly defining war, massacre, and genocide. What has happened in the last two years, starting on October 7, 2023—or even earlier, with the outbreak of war in Ukraine—has forever changed the discourse with which we define conflicts and interactions between peoples. We must understand this. We urgently need to find new words to describe an old horror that recurs regularly. Above all, however, we must rediscover our humanity, engage with others, and nurture our hope. In this regard, Barzini writes in the final pages of the book:
The question I was trying to answer was: Can we still afford to dream in a world that is falling apart? (271).
The water dominating the cover of Barzini's book also gives its title to Nadeesha Uyangoda's novel Acqua sporca (which can be translated as Dirty Water), released a few weeks ago. I picked it up during a tour of independent bookstores in Milan. A few days ago, Nadeesha presented her book with Vincenzo Latronico at Verso, my favorite bookstore in the city. I have followed the author closely since her debut as an essayist, so her transition to fiction came as no surprise to me. I sensed her talent for creative writing when I asked her to publish and translate her short story Cittadinanza (Citizenship) on Voices of Multiple Italy | Voci di una Molteplice Italia, and the first pages of her new book did not disappoint. From Los Angeles to Milan, from Brianza to Sri Lanka, the transition seems short, like the one from the history of Italian emigration to immigration to Italy. We will return to this topic in a few days, once I will finish reading the book, and continue exploring the thematic correspondences that tie together the discourse on diasporas revolving around our peninsula.



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