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Forse, quando parliamo di Pasolini, è inevitabile parlare anche di noi | It is impossible to address Pasolini without facing ourselves, perhaps, at the same time

[IT; English translation below] Queste ultime settimane, scandite da interminabili discussioni su Pier Paolo Pasolini, per chi scrive sono state contrassegnate da esperienze nuove. Oggi, per esempio, per la prima volta mi è capitato di passeggiare tra gli scaffali delle librerie e riconoscere la copertina di un libro che ho scritto io: leggo il mio nome, sopra al ritratto più iconico di Pier Paolo Pasolini, in una bellissima rielaborazione pop di Umberto Mischi, e alla riconoscibilissima F di Feltrinelli al fondo. Un'amica mi ha chiesto: come ti sei sentito? Non ho saputo cosa rispondere: è un’emozione difficile da descrivere. Mi sono venuti in mente, in quel momento, i pomeriggi trascorsi da adolescente con i primi libri Feltrinelli tra le mani, i romanzi di Banana Yoshimoto e Haruki Murakami, di Garcia Marquez e Stefano Benni: l’idea che ci potesse essere il proprio nome al posto del loro, sulla copertina, non l’avrebbe lontanamente sfiorato. Ma ho ripensato anche a un convegno a cui ho partecipato proprio qui a Trieste negli anni del dottorato, qualcosa in più di dieci anni fa, in cui parlavo di Philip Roth e di paternità rifiutata – in quel periodo, lavoravo su Pasolini e Roth in parallelo, poi alla fine nei libri ci è arrivato, un po’ a torto, solo Pasolini. In quell’occasione, una studiosa mi chiese in modo sgarbato e supponente se piuttosto non fosse da ritenere che Roth avesse celebrato la paternità simbolicamente, riproducendosi nei suoi libri. In quel momento, le ho risposto, nel modo più educato che avessi a disposizione ma senza lasciar cadere il tono polemico, che sarebbe molto pericoloso confondere il piano simbolico dalla realtà tangibile, e fare figli convinti dell’idea di poterli riporre su uno scaffale, o spegnerli come si fa con un computer, quando non abbiamo più voglia di leggere o scrivere. Ma con il libro davanti, mi accorgo che nel momento concreto del riconoscimento c’è una parte tangibile di noi che incontriamo, quando vediamo un libro uscito dalle nostre mani che ha trovato il modo di raggiungere le librerie in autonomia. Questo è il mio secondo libro su Pasolini, e lvorare con Feltrinelli è stato molto diverso che lavorare con Mimesis. Ho cominciato anche a organizzare le prossime presentazioni con una motivazione più forte, sebbene l’impatto emotivo di quella prima presentazione di “Mio padre si sta facendo un individuo problematico" nell’osteria hipster Da Emilia di Torino, nell’estate del 2018, circondato dal mio giro di amici e caraffe di nebbiolo, rimarrà unico nella mia memoria; forse anche più vivido del momento in cui mi è stato chiesto di presentarlo alla prestigiosissima University of California, Los Angeles, qualche mese dopo. Non si tratta solo divedere il frutto di tanta fatica che diventa concreto e visibile: è la sensazione di essere riuscito a portare davvero il mio lavoro tra la gente, di poter diffondere i miei studi tra un pubblico che legge libri per genuino interesse e passione (speriamo). Non c’è un modo gentile per dirlo, credo, a meno che non ti chiami Donna Gabaccia e stai scrivendo l’introduzione di Italy’s Many Diasporas, una delle introduzioni più emozionanti che abbia mai letto, da studioso, da lettore e da essere umano, ma tra accademici ci si abitua all’idea che le nostre idee circolino tra pochi eletti ed è raro vederle trasformarsi in qualcosa che si possa trovare per caso tra gli scaffali di una libreria frequentata da persone di categorie eterogenee, eppure accomunate dalla frequentazione dei libri. Pubblicare per Feltrinelli segna l’ingresso nel mondo degli scrittori, il sogno di una vita di chi a vario titolo scrive; inoltre non si tratta semplicisticamente di uno degli editori maggiori in Italia, ma l’unico che non ha mai nascosto, né si è rimangiato, la propria ideologia di sinistra, a partire dal suo fondatore Giangiacomo, anche lui coinvolto in una morte misteriosa, come Pasolini, in quegli anni Settanta che sono rimasti così densi di misteri. Insomma, è così che ci si sente, e vorrei trasmettere queste cose soprattutto a chi il 15 gennaio sarà alla libreria Lovat di Trieste – quella in cui è stata scattata la foto qui sotto – per la prima presentazione di questo volume, a chi verrà qui a Trieste a parlare con me di Pasolini.

 

Tra le novità di questo novembre pasoliniano, c’è anche l’intervista che riproduco qui sotto. Pochi giorni prima di trovarmi a Casarsa, davanti al sepolcro di Pasolini, in una mattinata di pioggia di quelle che si leggono nelle sue poesie friulane, mi è capitato di ricevere una telefonata misteriosa: un giornalista, Francesco Mennoni, mi ha chiesto se volessi rispondere ad alcune domande sull’autore e sul lavoro che gli ho dedicato. Siccome di solito le interviste le riceve Pasolini, e io le ho sempre vissute da intervistatore - in questa antologia, per esempio, ne raccolgo una che è diventata piuttosto celebre a Claudia Durastanti - si è trattato di un evento che mi ha sorpreso molto; ancora più, mi ha sorpreso trovarla sul Mattino, per poi essere rielaborata e ripubblicata in altre testate, tra cui il mitico Corriere del Ticino su cui uscì la prima recensione di Poesie a Casarsa a firma di Gianfranco Contini. La cosa probabilmente non fa notizia in sè per i più, ma apparire sul Mattino quotidiano mi ha emozionato tantissimo: si tratta del giornale che mio padre leggeva ogni giorno, con un'assiduità e una fedeltà oggi inconcepibili. Se cerco un'immagine di lui nella memoria, la prima che mi viene in mente lo vede seduto in poltrona, al ritorno da scuola, intento a leggere ogni minuscolo trafiletto del giornale, dalla prima all'ultima pagina, abbandonandolo solo dopo averlo esaurito tutto. L'acquisto del Mattino era il rito che apriva le sue giornate - ogni volta che eravamo in giro con lui, per esempio la domenica, la prima tappa era sempre l'edicola - e l'ultimo era quello di deporne la copia in cima a un pila a fianco al camino, che diventava sempre più alta approssimandosi l'inverno, pronta ad alimentare il riscaldamento della nostra casa all'arrivo del freddo, partecipando ad un'economia del riciclo che ci rendeva ecologisti inconsapevoli con largo anticipo rispetto alla diffusione degli allarmismi sul riscaldamento globale. Mi sono immaginato quindi mio padre seduto con la faccia dietro al giornale, mentre arrivava alla pagina culturale e dopo uno sguardo attento, al termine della lettura, avrebbe abbassato le pagine per dire: "Francè, sei sul Mattino!" Forse, con lo stesso tono, mi avrebbe detto di aver trovato il libro in qualche edicola che prendeva anche libri, a Qualiano (non è mai stato un particolare appassionato di librerie, anche perché a Qualiano non ce n'erano).


Per evitare problemi di copyright, riporto qui sotto la mia versione delle risposte a Mennoni prima dei vari interventi di editing: in corsivo le domande di Mennoni, in testo semplice le mie risposte.


FM: Che cosa l’ha mossa principalmente sulle tracce del poeta del quale, oltre a questo, ha scritto anche un altro libro (“Mio padre si sta facendo un individuo problematico”, Mimesis edizioni 2018): la sua arte, la sua vita anticonformista, il suo genio straordinario?

 

Io: All’inizio, negli anni universitari, di Pasolini mi ha attratto il fatto che si fosse cimentato in così tanti ambiti e contesti: ho trovato il suo desiderio inesauribile di esplorare quante più forme di espressione possibili unico, tra tutti gli autori che avevo incontrato. Quando ho cominciato a conoscerlo più a fondo, mi ha affascinato sempre di più la sua capacità di costruire un personaggio attraverso la propria opera, offrendosi sulla pagina e sullo schermo nella sua aperta contraddittorietà e nella profonda umanità della sua esperienza: nessun altro autore è riuscito a creare una persona letteraria così forte, da rendere praticamente impossibile separare l’uomo e quello che scrive. Su tutto mi è stato di grande ispirazione il suo coraggio, il modo in cui ha affrontato le questioni più spinose dell’Italia in cui ha vissuto in modo così aperto, senza filtri né ipocrisie.


So che a breve uscirà anche un suo nuovo libro: ancora su Pasolini o quale argomento tratterà?


Anche il mio secondo libro, in uscita, è dedicato a Pasolini: descrive l’autore in una cornice più ampia, di cui il precedente può essere considerato un approfondimento. Nel linguaggio cinematografico caro all’autore, potremmo definirlo un allargamento di campo. Il mio primo lavoro di respiro ampio su Pasolini lo ha interpretato alla luce degli studi che ho dedicato alla rappresentazione della paternità in trasformazione, che Pasolini ha profondamente interrogato durante la sua attività: era uno studio più specifico. Il libro nuovo fa parte di una collana molto pregevole di Feltrinelli, intitolata Eredi e diretta da Massimo Recalcati, che esplora l’eredità simbolica degli autori che propone: ho interrogato in modo più esteso le modalità con cui Pasolini si è relazionato con l’altro, di cui il padre è la prima espressione che incontriamo da infanti. Ho cercato di catturare la capacità dell’autore di oscillare tra io e altro, interrogando il prossimo per ritrovare sé stesso oppure per mettersi in dubbio, con un movimento costante e irrisolto: come amava scrivere lui stesso, tesi e antitesi non si incontrano in una sintesi, sono offerte nella problematicità di domande che raramente propongono una risposta univoca. Troppo spesso si cerca di ingabbiare un autore così sfuggente per darne un ritratto maneggevole, in entrambi i miei testi ho voluto offrirlo senza addomesticarlo, nella sua complessità. Contemporaneamente, ho cercato di aggiornarne il messaggio, di identificare le risposte che aveva dato a questioni che sono oggi ancora aperte, sottolineandone la validità attraverso i decenni intercorsi.

 

Qual è per lei la vera anima letteraria di Pasolini: quella della poesia? Il romanziere cronista dei suoi tempi, o il saggista critico e intuitivo? L’uomo di cinema, ritrattista d’una società di cui proponeva le varie tonalità che intravvedeva nella realtà? E l’uomo Pasolini, come era veramente?


Il mio punto di vista di studioso specializzato in letteratura comparata e studi culturali mi porta a dire che l’anima letteraria di Pasolini si coglie all’incrocio di tutti i generi a cui si è dedicato. L’unicità di questo affascinante autore risiede secondo me nella capacità di maneggiare tutti questi ambiti esibendo una disinvoltura totale in ognuno, invitando il fruitore a seguirlo in tutte le sue espressioni. Ma in realtà, come tanti studiosi, quando penso a Pasolini penso soprattutto ad un poeta: l’occhio di Pasolini cerca sempre la poesia, quale che sia lo strumento che utilizzi per esprimerla.

 

Della società dei consumi che andava espandendosi negli anni settanta, cosa di più allarmava e scoraggiava Pasolini, e cosa temeva della mutazione antropologica della società?


Premettendo che gli anni Settanta non li ho vissuti e che ne possiedo solo la conoscenza romantica che ne può sviluppare chi li ha esaminati attraverso libri, saggi, documentari e film, Pasolini temeva soprattutto la cancellazione della pluralità delle culture locali, che siano regionali o nazionali. Aveva intuito che l’espansione globale della società dei consumi – quella che oggi chiamiamo globalizzazione – avrebbe trasformato i luoghi in vuoti simulacri abitati da persone tutte uguali nel modo di apparire, di parlare, di relazionarsi tra loro, di consumare. Credo che oggi siamo vicini alla realtà che angosciava Pasolini: che ci piaccia la pizza o il falafel piuttosto che il fast food, possiamo mangiare una perfetta pizza napoletana e un ottimo kebab in un ristorante italiano o turco a fianco al MacDonald qui a Trieste, a Londra, a Los Angeles o a Kuala Lumpur, dopo aver comprato la stessa maglia in un negozio di una catena presente in tutte queste città, e guardiamo film girati in posti diversi in cui i personaggi vivono le stesse storie, vestendo allo stesso modo e comportandosi in modi analoghi: viaggiare non ha praticamente più significato. Pasolini aveva anche anticipato l’ossessione per l’omologazione dei corpi imposta dalla società dei consumi: l’ossessione per la palestra e la chirurgia estetica di oggi è ispirata dal desiderio di sembrare tutti uguali che ha origine già negli anni Sessanta e Settanta. 

 

Secondo lei, qual era la sua reazione alla poca tolleranza nei suoi confronti da parte della società? La sua specialità di uomo e di artista consiste soprattutto nel fatto che non si è lasciato mai assimilare dal pensiero egemonico?


Assolutamente sì, la sua grandezza è stata quella di non assimilarsi, un aspetto che lo condannava spesso a trovarsi dalla parte del torto, un destino che affrontava in modo consapevole. Pasolini conosceva bene il contesto culturale e sociale italiano, in particolare, che da sempre è caratterizzato da immobilismo e conservatorismo, ma non vi si rassegnava e cercava lo scontro, mosso, paradossalmente, da un amore incondizionato per le persone che aveva intorno, che riteneva meritassero una società migliore.

 

L’eredità culturale di Pasolini, reazionario di sinistra come spesso è stato bollato perché sfuggiva tutti i vincoli morali ed ideologici, è ancora un patrimonio rispettato e frequentato? Si profila all’orizzonte un equivalente di Pasolini?


Non mi trovo d’accordo con l’etichetta di reazionario; Pasolini invece probabilmente contesterebbe l’affiliazione alla sinistra. Credo che abbia soprattutto cercato di proporre una direzione contraria al modello di modernità proposto dal consumo di massa, spesso definito passatista anche da autori di straordinaria intelligenza quali Calvino, con cui si ha avuto un lungo scontro, finito anche sulle pagine dei quotidiani. Un equivalente di Pasolini non credo possa esserci in futuro, perché la sua unicità è anche il prodotto dell’unicità di quell’epoca, che poneva le questioni e si interrogava in modalità oggi improponibili: la capacità di scandalizzare di Pasolini, in particolare, oggi sarebbe difficile da riproporre con la stessa intensità. Ci sono tuttavia autori e intellettuali che hanno accolto la sua sensibilità e il suo messaggio e li hanno riproposti in modalità aggiornate a contesti successivi, espressione di altri linguaggi, propri di generazioni diverse.  Credo che la sua eredità si senta molto in letteratura, anche in personalità che appaiono lontane da quella dell’autore: penso per esempio a Walter Siti, a Emanuele Trevi, a Nicola Lagioia, a Mauro Covacich, ma anche a Isabella Santacroce o Viola di Grado. Sono autori che abbinano l’analisi di questioni contemporanee a una vocazione profondamente umana. Inoltre, riscontriamo la presenza di Pasolini in un certo tipo di giornalismo, anche da parte di giornalisti che se ne sono appropriati senza rendersi conto.

 

Pelosi ha dato varie versioni dell’assassinio di Pasolini: É condivisibile l’idea del complotto come vendetta politica a suo tempo ipotizzata da Oriana Fallaci?  E Pelosi era solo uno che aveva accettato di prendersi la colpa del delitto? Ma il tanto discusso Petrolio, presunta causa della sua morte come s’è tentato di far credere, sarebbe stato davvero una sorta di requiem per certi politici e certa finanza italiana se avesse potuto completarlo?


Nonostante mi dedichi a Pasolini da ormai vent’anni, ho sempre preferito non pronunciarmi sul suo assassinio, se non per esprimere parole di rispetto e compassione per l’atroce violenza subita dall’uomo e di grande rammarico per l’inquantificabile perdita dell’autore. Sono un critico e interrogo i testi per ricostruirne il pensiero e il messaggio dell’autore. A questo proposito, secondo me Petrolio contiene nel suo segmento superstite il potenziale esplosivo dell’ordigno, per così dire, che sarebbe stato una volta completato: i politici e gli imprenditori chiamati in causa, nell’Italia degli anni Settanta, si sarebbero sentiti sotto accusa già di fronte alle pagine sopravvissute. Infatti, non credo sia casuale che il libro sia stato pubblicato solo a quasi vent’anni dal rinvenimento del manoscritto, quando ormai il contesto sociopolitico era diverso e gli equilibri erano regolati da altri agenti, con il passaggio a una nuova classe politica, che ha fatto parlare di una nuova Repubblica. Ma anche qui sento di allontanarmi dalle mie specializzazioni: sarei molto interessato a leggere un lavoro di uno studioso di storia politica che interrogasse il romanzo per capire in profondità che conoscenze possedesse Pasolini in merito ai legami tra i gruppi di potere da cui si sentiva oppresso e perseguitato. In realtà, credo che la verità su Petrolio e sul possibile collegamento con lo scellerato delitto si potrà sapere solo quando le ceneri del caso saranno spente, passando dalle pagine della cronaca a quelle della storia: ho paura che ci vorranno ben più di cinquant’anni.

 

A distanza di 50 anni dalla sua scomparsa, come si potrebbe definire oggi il ruolo svolto da Pasolini nell’ambito della cultura italiana? Era, come spesso si è detto, la coscienza vigile dei mali della nostra società?

 

Era senza dubbio la coscienza critica del nostro paese e la sua voce più rappresentativa in quel periodo storico (ci perdoni Calvino, troppo perfetto per incarnare l’Italia in cui ha vissuto): ogni volta che parlava di sé, in qualche modo si presentava come un’eccezione che conferma il contesto di appartenenza o un segmento che ne rappresenta il tutto. Ha dimostrato di conoscere bene l’Italia e di non aver paura di metterne in luce i suoi aspetti dall’interno, presentandosi da italiano. Infatti, come è tipico degli italiani, non aveva paura di sbagliare, perché si sentiva al sicuro in un paese che offre la convinzione che a tutti sia garantita la possibilità di sbagliare. Quello è stato forse il suo più grande errore.

 

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[EN] The last few weeks have been marked by endless discussions about Pier Paolo Pasolini and new experiences for me. Today, for example, I happened to be walking among the shelves of a bookshop when I recognised the cover of one of my books. Right under my name, there is a beautiful pop reworking of Pier Paolo Pasolini's most iconic portrait by Umberto Mischi, and the recognisable F of Feltrinelli, at the bottom. A friend asked me how I felt. I didn't know how to answer, it's a difficult emotion to describe. I recalled the afternoons I spent as a teenager with my first Feltrinelli books in my hands, such as the novels of Banana Yoshimoto and Haruki Murakami, Gabriel García Márquez and Stefano Benni. The idea that my name could be on the cover instead of theirs would never have crossed my mind back then. However, I also thought back to a conference I attended here in Trieste during my doctoral studies, a little over ten years ago, where I spoke about Philip Roth and rejected fatherhood. At that time, I was researching Pasolini and Roth comparatively, but ultimately, only Pasolini made it to the book, which was somewhat unfair. During the conference, a scholar asked me in a rude and presumptuous manner whether Roth should be considered to have celebrated fatherhood symbolically by reproducing himself in his books. I replied as politely as possible, but without dropping the polemical tone, that it would be very dangerous to confuse the symbolic plane with tangible reality and to have hildren while holding in mind that we can put them on a shelf or turn them off like a computer when we no longer feel like reading or writing. Now that I have the book in front of me, I realise however that, in that moment of recognition, we encounter a tangible part of ourselves when we see a book that has been created by us and found its way to bookshops independently. This is my second book on Pasolini, and working with Feltrinelli has been very different from working with Mimesis. I also began organising the upcoming presentations with greater motivation. However, the emotional impact of the first presentation of "My Father Is Becoming a Problematic Individual" in the hipster tavern Da Emilia in Turin in the summer of 2018, surrounded by my friends and carafes of Nebbiolo, will remain unique in my memory. Perhaps it will remain even more vivid than when I was asked to present it at the prestigious University of California, Los Angeles, a few months later. It's not just about seeing the fruit of so much hard work become concrete and visible; it's about the feeling of having really managed to share my work with people who read books out of genuine interest and passion. There's no polite way to say it unless you're Donna Gabaccia and you are writing the introduction to Italy's Many Diasporas — one of the most touching introductions I've ever read as a scholar, reader and human being. Among academics, we're used to our ideas circulating among a select few, so it's rare to see them transformed into something that can be found by chance on the shelves of a bookstore frequented by people from diverse backgrounds united by their love of books. Publishing with Feltrinelli is a dream come true for writers everywhere. Moreover, it is not just one of Italy's major publishers, but the only one that has never hidden or renounced its left-wing ideology, starting with its founder Giangiacomo, who, like Pasolini, met a mysterious end in the 1970s — a decade shrouded in mystery. In short, this is how it feels, and I would particularly like to convey these things to those who will be at the Lovat bookshop in Trieste on 15 January — the one where the photo below was taken — for the first presentation of this volume, to discuss Pasolini with me.


Among the new developments in this November dedicated to Pasolini, there is the interview reproduced below. A few days before being in Casarsa, in front of Pasolini's grave on a rainy morning, reminiscent of those described in his Friulian poems, I received a mysterious phone call. A journalist named Francesco Mennoni asked if I would answer some questions about the author and my work on him. Well, it was Pasolini who usually gave interviews, I had always been the interviewer — in this anthology, for example, I include a famous interview with Claudia Durastanti — and I was greatly surprised by this event. Even more surprising was finding the interview in Il Mattino, before appearing in a few other newspapers, including the legendary Corriere del Ticino, which published the first review of Pasolini's Poesie a Casarsa by Gianfranco Contini. This probably isn't newsworthy for most people, but seeing my work in Il Mattino thrilled me immensely: it's the newspaper my father read every day with a diligence and loyalty that's hard to imagine today. When I try to picture him in my memory, the first image that comes to mind is of him sitting in his armchair after I got home from school, methodically reading every article in the newspaper from start to finish. Buying Il Mattino was the ritual that started his day — whenever we went out with him, for example on Sundays, the first stop was always the newsstand — and the last thing he did was place the copy on top of a growing pile next to the fireplace. This pile was ready to fuel the heating of our home when the cold weather arrived, and we were participating in a recycling economy that made us unwitting environmentalists long before alarmism about global warming spread. Among the new developments for the November event dedicated to Pasolini is the interview reproduced below. A few days before I found myself in Casarsa, standing in front of Pasolini's tomb on a rainy morning reminiscent of those described in his Friulian poems, I received a mysterious phone call. A journalist named Francesco Mennoni asked if I would answer some questions about the author and my work on him. As Pasolini usually gave interviews and I had always been the interviewer — in this anthology, for example, I include a famous interview with Claudia Durastanti — I was greatly surprised by this event. Even more surprising was finding the interview in Il Mattino, before being republished in other newspapers. I imagined my father sitting with his face behind the newspaper, reaching the culture page, giving it a careful glance and lowering the pages at the end of his reading to say, 'Francè, you're in Il Mattino!' Perhaps he would have told me in the same tone that he had found the book at a newsstand that also sold books in Qualiano (he was never particularly fond of bookshops, partly because there weren't any in Qualiano).


To avoid copyright issues, my version of the responses to Mennoni before the various edits is given below. The lines in Italics are Mennoni's questions, followed by my answer in plain text.


FM: What inspired you to follow in the footsteps of the poet about whom you have also written another book, “Mio padre si sta facendo un individuo problematico”: Padri e figli nell’ultimo Pasolini (trans. My Father Is Becoming a Problematic Individual: Fathers and Sons in Pasolini’s Last Woks), published by Mimesis in 2018? Was it his art, his unconventional life, or his extraordinary genius?

 

Me: Initially, during my university years, I was attracted to Pasolini because he ventured into so many different fields and contexts. His inexhaustible desire to explore as many forms of expression as possible was unique among all the authors I had encountered. As I got to know him better, I became increasingly fascinated by his ability to create a character through his work. He offered himself on the page and on the screen with his open contradictions and profound humanity. No other author has managed to create such a strong literary persona, that it is virtually impossible to separate the man from his writing, as far as I know. Above all, I was greatly inspired by his courage, how he tackled the thorniest issues in Italy so openly, without filters nor hypocrisy. 

 

A new book of yours will also be published soon. Is it about Pasolini again, or will it cover a different topic?

 

My second book [which is now on the shelves], Pier Paolo Pasolini: La poesia dell’incontro, is dedicated to Pasolini again. It places the author in a broader context, of which the previous book can be considered an in-depth study. In cinematic terms, we could define it as broadening the field. My first wide-ranging work on Pasolini interpreted him in light of my studies on the representation of fatherhood in transformation, which Pasolini profoundly questioned during his career. It was a more specific study. The new book is part of a highly regarded series by Feltrinelli entitled Eredi (trans: Heirs) and edited by Massimo Recalcati. The series explores the symbolic legacy of the featured authors: I have examined the ways in which Pasolini related to others in greater depth, among which the father represents the first one, whom we encounter as infants. I tried to capture the author's ability to oscillate between the self and the other. He questioned others to find himself in a constant, unresolved movement. In his works, as he liked to point out, thesis and antithesis do not meet in a synthesis; rather, they are offered in the problematic nature of questions that rarely propose a single answer. All too often, criticism has tried to confine such an elusive author to create a manageable portrait of him. In both of my texts, I wanted to present him with his complexity without taming him. At the same time, I tried to update his message and identify the answers he gave to questions that are still relevant today, emphasizing their validity through the decades that have passed.

 

What do you consider to be Pasolini's true literary soul? The novelist and chronicler of his times or the critical and intuitive essayist? The man of cinema, portraitist of a society whose various shades he glimpsed in reality? And what was Pasolini really like?

 

As a scholar specializing in comparative literature and cultural studies, I would say that Pasolini's literary soul can only be grasped at the intersection of all the genres to which he devoted himself. In my opinion, the uniqueness of this fascinating author lies in his ability to handle all these areas with ease, inviting the reader to follow him in all his expressions. However, like many scholars, when I think of Pasolini, I think primarily of a poet. Pasolini's eye always seeks poetry, whatever the tool he uses to express it.

 

What mostly alarmed and discouraged Pasolini of the consumer society that was expanding in the 1970s? What did he fear about the anthropological changes in society?

 

Having only the sort of romantic knowledge developed by examining the 1970s through books, essays, documentaries, and films, I can say that Pasolini feared the erasure of the plurality of local cultures, whether regional or national. He sensed that the global expansion of consumer society—what we now call globalization—would transform places into empty simulacra inhabited by people who looked, spoke, related to each other, and consumed in the same way. Today, we are close to the reality that distressed Pasolini. Whether we prefer pizza or falafel to fast food, we can enjoy a perfect Neapolitan pizza and an excellent kebab in an Italian or Turkish restaurant next to a McDonald's in Trieste, London, Los Angeles, or Kuala Lumpur. We can buy the same shirt at a chain store found in all these cities and watch films shot in different places where the characters live similar stories and behave in similar ways. Traveling has practically lost its meaning. Pasolini also anticipated the homologation of the bodies promoted by consumer society: today's obsession with the gym and cosmetic surgery originates from the desire to look all like each other, which began in the 1960s and 1970s. 

 

In your opinion, how did he react to society's lack of tolerance towards him? Did his specialty as a man and artist lie in never allowing himself to be assimilated by hegemonic thinking?

 

Yes, his greatness lies in his refusal to assimilate, a trait that often led him to be seen as wrong, a fate he faced consciously. Pasolini was well aware of the Italian cultural and social context, which has always been characterized by immobility and conservatism. However, he never gave up: instead, he sought confrontation, motivated by an unconditional love for the people around him. He believed they deserved a better society.

 

Is Pasolini's cultural legacy, which is often dismissed as left-wing reactionary because he rejected all moral and ideological constraints, still respected and popular? Is there an equivalent to Pasolini on the horizon?

 

I disagree with the label of reactionary. Pasolini, on the other hand, would probably contest his affiliation with the left. Above all, I believe he sought to propose an alternative to the modernity model of mass consumption, which was often defined as backward-looking, even by extraordinarily intelligent authors such as Calvino. Pasolini had a long dispute with Calvino that even ended up in the newspapers. I don't think anyone like Pasolini will emerge in the future because he was also a product of his unique era, which raised and asked questions in ways that are unthinkable today. Pasolini's ability to shock, in particular, would be difficult to replicate with the same intensity today. However, there are authors and intellectuals who have embraced his sensibility and message, reproposing them in updated ways specific to different generations and languages. I believe his legacy had a strong impact on literature, even among authors who seem distant from him. I think about Walter Siti, Emanuele Trevi, Nicola Lagioia, and Mauro Covacich, as well as Isabella Santacroce and Viola di Grado. These authors combine the analysis of contemporary issues with a deeply humanistic approach. Furthermore, Pasolini's influence can be seen in certain types of journalism, even among journalists who have adopted it unknowingly.

 

Pelosi offered several accounts of Pasolini's murder. Is the idea of political revenge as a motive for the crime, as Oriana Fallaci hypothesized at the time, plausible? Was Pelosi someone who simply agreed to take the blame for the crime? Would Petrolio, the alleged cause of his death, really have been a requiem for certain politicians and Italian financiers if Pasolini had finished it?

 

I have devoted to Pasolini twenty years of study, but I have always preferred not to comment on his murder. I have only expressed words of respect and compassion for the atrocious violence he suffered and great regret for his immeasurable loss. As a critic, I examine texts to understand the author's thoughts and messages. In this regard, Petrolio, in its surviving segment, contains the explosive potential of the bomb that would have been unleashed once the book was completed. The politicians and businessmen named in the case would have felt accused even when faced with the surviving pages, in 1970s Italy. I do not believe it is coincidental that the book was published almost twenty years after the manuscript was found. By then, the socio-political context had changed, the balance of power had shifted, and a new political class had emerged, leading to the identification of a new, “second”, Republic, as we know. However, I feel that I am straying from my areas of expertise here. I would be interested in reading a work by a political historian examining the novel in depth to understand what Pasolini knew about the links between the power groups that oppressed and persecuted him. Ultimately, I believe the truth about Petrolio and its possible connection to the heinous crime will only be revealed once the case has cooled, transitioning from the pages of news to history. I fear it will take well over fifty years.

 

Fifty years after his death, what is Pasolini's role in Italian culture today? Was he, as has often been said, the vigilant conscience of the evils of our society?

 

He was undoubtedly the critical conscience of our country and its most representative voice during that historical period. Calvino was too perfect to embody Italy, the country where he lived. Every time Pasolini spoke of himself, he presented himself as an exception that confirmed the context to which he belonged, or as a segment that represented the whole. He demonstrated his knowledge of Italy and his willingness to highlight its aspects from within, presenting himself as Italian. As is typical of Italians, he was unafraid of making mistakes because he felt secure in a country that offers the conviction that everyone is guaranteed the opportunity to make mistakes. Perhaps that was his biggest one.

 
 
 

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